domenica 29 novembre 2009

La parola ad un ragazzo a cui piace la matematica



Un giorno mi sono chiesta: "Perchè qualcuno non scrive qualcosa sul mio blog?... In fondo non c'è niente di male?"
Essendo un blog che ha degli scopi e argomenti di cui parlare ben precisi (...la matematica...), giusto per mantenermi nel contesto, ho deciso di interpellare il mio caro fratello, chiedendole gentilmente se mi poteva scrivere qualcosa: la sua opinione sulla matematica, visto che è il pane quotidiano per quanto riguarda i suoi studi universitari...
Così è stato!!! Ora a lei la parola...
" Ciao a tutti, mi chiamo Emanuele, ho 20 anni e frequento il secondo anno di Ingegneria Meccanica al Politecnico di Milano.
La matematica è sempre stata la mia materia preferita, forse perchè ho avuto dei professori che hanno saputo farmela amare!
Mi è sempre piaciuta come materia e spesso me la sono cavata abbastanza bene!
Forse mi considererete una pazza, ma mi divertiva e mi diverte ancora adesso fare gli esercizi.
Poi è la base del mio corso di studi e credo sia stata una spinta a scegliere ingegneria come facoltà..
E' una materia che è alla base di tutto, e penso che ne valga la pena studiarla e conoscerla."

sabato 28 novembre 2009

IL GRANDE MATEMATICO:Intervista immaginaria a Maria Montessori

P - 03 Il grande matematico - Didamat Univaq

È una fredda giornata d'inverno. Il giardino in cui passeggio nell’attesa di incontrare la donna che, con il suo metodo, ha rivoluzionato il sistema didattico scolastico e la pedagogia contemporanea in Italia e nel mondo, è ricco di foglie dai colori più svariati rendendo l’evento ancora più eccitante e carico di magia e intensità. Facendo qualche passo più avanti la vedo…è seduta su una sedia da giardino intenta a osservare un gruppetto di bambini presi dal loro lavoro. Mi vede…con un sorriso mi fa cenno di avvicinarmi. È un’anziana signora vestita un po’ retrò ma nel suo sguardo è vivo il fuoco, la potenza, la forza di quel genio che è stato e sempre sarà Maria Montessori. Sono vicino a lei, l’emozione è tanta e, dopo i primi convenevoli, la nostra chiacchierata ha inizio.

Chiara: “Signora Montessori, mi è stato chiesto di intervistare un grande genio matematico e io non ho potuto che pensare a lei”.

Maria Montessori: “Ma io non sono un matematico e tanto meno un genio”. Sorride.

C: “Ha ragione, ovviamente riguardo al matematico, ma lei è stata una delle prime donne ad avere una formazione di base scientifica e, ancor di più, ha sviluppato un metodo per la comprensione della matematica degno di un matematico e di un vero genio”.

MM: “Lei mi lusinga, ho fatto solo quello che ho ritenuto più naturale”.

C: “Prima di parlare del suo metodo, vorrei soffermarmi sul rapporto con la matematica che aveva da bambina”.

MM: “Da sempre ho manifestato un grande interesse per la matematica e proprio la passione per questa disciplina mi indusse a scegliere la scuola tecnica e il liceo tecnico riuscendo a conseguire una licenza nella sezione fisico-matematica”.

C: “A quei tempi, parliamo dell’ultimo decennio dell’ottocento, è stata facile per una donna entrare e frequentare una scuola del genere?”.

MM: “Con tutta onestà devo ammettere di no. Infatti, dovetti superare le reticenze dei miei genitori, in particolare di mio padre, e di tutta la società che non vedeva di buon occhio una donna studiare materie scientifiche”.

C: “Ha appena citato i suoi genitori e la società del suo tempo; può parlarci un po’ più approfonditamente dell’influenza che hanno avuto su di lei la sua famiglia e il contesto storico?”.

MM: “Sono nata in un particolare periodo storico, nel 1870, le idee del positivismo cominciavano ad affermarsi, il ruolo della donna nella società era relegato a quello di angelo del focolare ma, per mia fortuna, la mia formazione intellettuale avvenne in una famiglia che ebbe in ciò molto rilievo”.

C: “In che senso?”.

MM: “Sono cresciuta in una famiglia che mi educò secondo regole severe sulla disciplina e l’impegno. Mio padre, studioso di matematica, mi trasmise la passione per gli studi scientifici e mia madre, donna di convinzione liberale e cattolica insieme a una grande fede nella scienza moderna, nonostante fosse un po’ preoccupata, non mi ostacolò mai nelle mie scelte. Infatti fui una delle prime donne a frequentare, dopo la licenza elementare, la scuola tecnica superiore presso il Regio Istituto Tecnico Leona e a conseguire la licenza fisico matematica e, in seguito, la laurea in scienze matematiche e naturali nell’Università di Roma nel 1892, specializzandomi poi in psichiatria”.

C: “Il suo cammino è apparso sconcertante: partita dalla formazione scientifica, conseguì la laurea in psichiatria, esercitò la libera docenza nella facoltà di antropologia nel ramo di scienze fisiche e matematiche, partecipò al movimento di liberazione femminile, conseguì una seconda laurea in filosofia. Nonostante tutto ciò, divenne prioritaria in lei l’attenzione alla dimensione educativa . Fu forse questa una scelta di ripiego che le permise di emergere in un settore più congeniale al suo essere donna rispetto alla psichiatria?”.

MM: “Indubbiamente ho incontrato parecchie difficoltà per farmi riconoscere il mio operato scientifico, pedagogico e culturale ma credo che, malgrado le difficoltà, tutte le mie esperienze dovessero portarmi alla formulazione del mio credo pedagogico, alla scoperta del bambino.

La strada che ho percorso mi ha permesso di approfondire la tematica dell’adulto, sia esso donna o uomo, permettendomi di capire che dietro quell’ apparente radice ne esisteva una originale, la vera radice originale che è data dalla nascita e dall’infanzia per cui dietro la donna c’è il bambino…il bambino padre dell’uomo. Sono state proprio le mie basi scientifiche che mi hanno poi permesso di dare riconoscimento e validità scientifica alle mie teorie riguardo la scoperta del bambino”.

C: “Con la casa di San Lorenzo, la prima “casa dei bambini”, dopo anni febbrili di studio, il suo esperimento si materializza e viene consacrato alla storia. Con essa il “metodo Montessori”.

MM: “Sì, il mio metodo si sarebbe delineato da lì a poco. Era il 6 gennaio 1906, quel giorno, con grande emozione e mettendomi una mano sul cuore per animarlo nella sua fede, pensando con grande rispetto a quei bambini, dissi fra me: “Chi siete?”. In quella domanda che mi feci non c’era retorica né nostalgia ma la volontà e il bisogno di capire, nel rispetto e nell’amore, l’infanzia…proprio da questa domanda si è strutturato il mio metodo che nacque soprattutto come strumento d’osservazione o, meglio, divenne la scoperta del bambino, un aiuto affinché la personalità umana potesse acquistare la propria indipendenza”.

C: “Il suo lavoro ha posto al centro dell’educazione il bambino, con il riconoscimento scientifico della sua natura e la proclamazione sociale dei suoi diritti, falsificando quei tanti pregiudizi che abitavano la mente degli adulti e che per secoli avevano precluso la scoperta dell’infanzia”.

M.M. “Per tornare al discorso di prima, proprio il mio cammino che a molti è sembrato sconcertante, in quanto sarebbe parso più lineare se avessi avuto una formazione umanistica, mi ha permesso di arrivare dove sono arrivata. Il mio lavoro è partito da basi scientifiche e solo così poteva delinearsi . Il primo problema che mi si presentò fu quello di falsificare la teoria secondo la quale i bambini fino a tre anni vagano con la loro mente, da cosa in cosa, a causa della loro attenzione labile e vagabonda. Bene, proprio fortuitamente, mi imbattei in una bambina di tre anni che assorta per lungo tempo sopra un incastro solido, ripeteva l’esercizio per ore. Nonostante i miei tentativi, nulla riusciva a distoglierla. Mi sembrò una manifestazione straordinaria. Cominciai a formulare ipotesi che nel bambino esistessero risorse nascoste, energie che si rivelano quando la mente infantile incontra un’esperienza che è capace di attrarre come una calamita. Le mie ricerche confermarono ciò, quindi, una volta rimossi gli ostacoli e creato un ambiente capace di rispondere ai bisogni psichici, il bambino si mostrava attivo e dotato di grandi risorse cognitive apparendo come un inaspettato essere di ragione. Il materiale di sviluppo fu creato proprio per permettere al bambino quest’autorivelazione”.

C: “Un materiale magico, quindi?”.

MM: “Questo è l’errore che per anni molti hanno commesso e, a mio ben vedere, si presenta ancora oggi… la polarizzazione dell’attenzione da parte del bambino avviene attraverso il materiale ma, necessario affinché ciò avvenga, è la preparazione dell’ambiente, gli atteggiamenti dell’insegnante - aiutami a fare da solo - l’ordine, la misura, l’eliminazione del superfluo e, poi, la libertà di scelta da parte del bambino, la sua indipendenza e autonomia”.

C: “All’inizio della nostra intervista abbiamo parlato di lei come genio matematico; la nostra chiacchierata lo sta confermando, conviene con me?”.

MM: “Certamente sono una donna di scienza ma c’è da dire che tutto lo spirito umano, a mio avviso, è matematico: tende verso l’esattezza, la misura , il raffronto. Parlare quindi, nel mio caso, di genio matematico, mi sembra inopportuno...quasi tutti, attraverso un percorso formativo adeguato ai propri tempi e ai propri bisogni individuali, potrebbero sviluppare tali capacità”.

C: “Il suo insegnamento ha portato a risultati incredibili eppure tuttora, nel 2009, la scuola continua a fallire; nella matematica le statistiche parlano chiaro: la preparazione scientifica media degli italiani non è tra i primi posti nelle classifiche europee. Cos’è che non funziona?”.

MM: “Lo scontro è, ieri come oggi, tra la mente non scolarizzata del bambino e quella dell’alunno alle prese della scuola. Mentre il bambino più piccolo è impegnato nella natura del conoscere, il bambino della scuola risulta essere intrappolato nella logica del compromesso delle risposte corrette. Quando va bene, e non sempre succede, egli apprende una serie di conoscenze che poi non riesce ad utilizzare in contesti nuovi o più ampi. La scuola, anche quando sembra funzionare con successo, manca i propri obiettivi più importanti che sono la comprensione adeguata dei contenuti e dei concetti. Nella scuola, gli insegnanti solitamente richiedono o accettano prestazioni meccaniche, ritualistiche o convenzionali proprio quelle che gli studenti offrono quando rispondono nel sistema simbolico desiderato, buttando, fuori dai fatti, i particolari complessi, i concetti o i problemi che sono stati loro insegnati. L’approssimazione, la semi comprensione oltre alla noia intellettuale, proliferano; poca è la competenza come capacità di trasferire in contesti nuovi gli strumenti concettuali che si sono acquisiti. Così, quando gli studenti escono dalla scuola, di fronte a banali problemi di fisica o matematica, nei quali non hanno saputo riconoscere le tematiche studiate a scuola, ricadono in modi di ragionare ingenui, dove dominano le spiegazioni elaborate intuitivamente dalla mente del bambino piccolo, quei copioni iniziali e quegli stereotipi imparati da bambini. Questo accade perchè gli insegnamenti scolastici inefficaci vengono sopraffatti dagli apprendimenti della mente non secolarizzata”.

C: “Quindi, mi faccia capire meglio, sostiene la necessità di anticipare gli apprendimenti prima dell’ingresso a scuola?”.

MM: “Non si tratta di anticipare la scuola, semplicemente la necessità di trovare il modo di offrire al bambino un sapere che possa generare altro sapere e di fornirlo in un linguaggio adatto che significa un linguaggio fatto di esperienze più che di parole. Inoltre è importante tenere a mente che lo sviluppo dell’individuo segue delle tappe, cioè dei centri successivi di sensibilità, che si estinguono per essere sostituiti da altri. Queste tappe, che io chiamo periodi sensitivi, sono momenti di sviluppo in cui l’interesse è prevalentemente rivolto verso qualcosa che è necessario per lo sviluppo della personalità. È evidente, dunque, che la stessa cosa, presentata in momenti diversi, può suscitare reazioni molto diverse e che l’insegnamento della matematica deve rispettare questi momenti strettamente individuali”.

C: “Questa esperienza, dunque, secondo lei, può avvenire soltanto attraverso l’uso di sussidi didattici; ma quali e come devono essere tali materiali?”.

MM: “L’intelligenza dei bambini è strettamente collegata agli oggetti e alle azioni che si compiono su di essi. Tutti i materiali che abbiano la caratteristica di oggetti, che rappresentano concetti matematici, rendono possibili acquisizioni che, presentate in modo astratto, non sarebbero alla portata dei bambini. È necessario predisporre materiali strutturati in successione ordinata che accompagnino il bambino nel suo sviluppo, fornendogli man mano il modo di fare esperienza di tipo matematico. Non essendoci oggetti matematici nell’ambiente come gli alberi, i fiori, gli animali, abbiamo dovuto predisporre materiali sensoriali che, difatti, chiamiamo astrazioni materializzate o materiale matematico basico”.

C: “Prima nella casa dei bambini, poi nella scuola primaria, i bambini lavorano con il materiale di sviluppo specifico per la mente matematica, attraverso il quale il processo di apprendimento viene centrato sulle loro attività. Quali sono le sue caratteristiche principali?”.

MM: “Attrarre l’attenzione, permettere di svolgere attività di tipo matematico utilizzando il movimento e la manipolazione di oggetti concreti, guidare l’attività in una direzione determinata, affrontando una difficoltà alla volta, consentire attraverso operazioni concrete processi di interiorizzazione, organizzazione, astrazione, permettere l’autonomo controllo dell’errore, rispettare i ritmi individuali di apprendimento, stimolare la capacità di cogliere quello che non varia in situazioni percettive favorendo i processi di organizzazione del pensiero e di astrazione. Durante il lavoro, svolto in modo fortemente individualizzato, l’insegnante si limita a mostrare come utilizza il materiale. Tutto il resto viene fatto dai bambini, ognuno impegnando i tempi che gli sono necessari. L’errore viene evidenziato dal materiale stesso, in modo che sia possibile accorgersene e autocorreggersi e che non sia necessario il controllo dell’insegnante. In questo modo i bambini, gradualmente, acquistano fiducia nelle loro capacità e possibilità e procedono nel loro cammino in modo autonomo, ognuno indipendentemente dai tempi degli altri. Questo rende possibile non avere ansie e timori nei confronti della matematica e superare il problema sia dei bambini lenti sia dei bambini troppo veloci, attivare cioè attività di recupero e di valorizzazione delle eccellenze per portare ognuno al raggiungimento del pieno successo formativo”.

C: “Una mente carica di astrazioni materializzate?”.

MM: “Sì, una mente carica di teorie implicite e di capacità di discriminare che ritorneranno fuori sotto forma di esplosioni meravigliose quando il bambino sarà più grande. In questo modo, la conoscenza prodotta non sarà più ingenua e più lontana dalle scoperte scientifiche ma avrà fatto proprie le astrazioni materializzate, le teorie fatte oggetti contenuti nel materiale. Il divario tra conoscenze ingenue ma fortemente incarnate dalla mente infantili e quelle scientifiche più avanzate tenderà, così, a ridursi”.

C: “Siamo nel 2010, la società è molto cambiata, l’avvento di internet è oramai la tecnologia padrona del nostro agire quotidiano. Alla luce di questi cambiamenti, come ritiene che dovrebbe innovarsi la didattica pedagogica per essere realmente efficace?”.

MM: “La risposta è semplice: aggiornandosi adeguatamente. Occorre un grande sforzo di alfabetizzazione che prevede un profondo ridisegno delle strategie di insegnamento che però non può prescindere da considerazioni di tipo umano, ciò a ricordare quello che ripeto da anni: il bambino non è un adulto in miniatura. Rispettando la natura del bambino e preparandovi meglio voi stessi, potrete ridisegnare un percorso didattico adeguato alla società che verrà. Ovviamente la strada sarà dura e potrebbe esserci il rischio di trasformare strumenti in surrogati di promotori di educazione…cosa che accadde un po’ con i miei materiali.

Bisognerà tener presente l’intreccio tra tecnologia e didattica, tecnologia e processi di apprendimento. Tener conto delle tecnologie significa interrogarsi su come utilizzarle”.

C: “Possiamo cogliere nelle sue parole un certo parallelismo tra i suoi materiali e la nuova tecnologia?”.

MM: “In un certo senso possono essere per alcuni versi i figli dei miei materiali. Il computer permette la possibilità di un certo individualismo, di gestione più libera del proprio tempo, può creare un rapporto diretto con le forme di informazione dando quindi la possibilità di accostarsi in modo autonomo alle conoscenze, proprio come con il mio materiale, proprio nel momento in cui la propria anima lo richiede, in maniera autonoma e individuale rispondendo ai personali centri d’interesse. Per arrivare a ciò, però, c’è bisogno di una grande preparazione senza lasciare niente al caso. La mia perplessità è che, in questo periodo storico, si sia persa l’abitudine a organizzare in modo autonomo il proprio tempo. Credo che lo sforzo educativo richiesto alla scuola del futuro sia una sorta di rieducazione a decidere”.

C: “La necessità dell’operativizzazione della conoscenza non deve ovviamente allontanare dall’ approccio astratto-simbolico. Quali soluzioni può consigliarci per trovare il giusto equilibrio nel sistema scolastico italiano?”.

MM: “L’insegnante, ora più che mai, resta il punto chiave di tutto il discorso. E’ importante per tutte le discipline, ma soprattutto per la matematica, che sia insegnata bene e fatta amare. Se, negli anni della formazione intellettuale, il bambino comincia ad avere paura della matematica avrà sempre un atteggiamento conflittuale col mondo della scienza. L’insegnamento della matematica deve avvenire, ieri come oggi, per problemi. L’insegnante deve suscitare l’interesse all’apprendimento anche attraverso la storia. Il Rinascimento non è stato solo la grande pittura, la prospettiva, i viaggi di Colombo, ma è stato anche una prodigiosa matematica da Fibonacci a Scipione del Ferro. Senza di loro non ci sarebbe stata una nuova scienza”.

C: “Vorrei diventare una futura maestra della scuola dell'infanzia. Cosa sente di suggerirmi come consiglio prezioso?”

MM: “Di attenersi sempre alla coniugazione di tre verbi: conoscere, amare, rispettare. La conoscenza è la distanza, è lo sforzo per l’oggettività, è la neutralità affettiva, è lo scetticismo critico che tiene aperta la mente; l’amore è il coinvolgimento, la passione motivante. Rispettare vuol dire aspettare con fiducia. Nel rispetto, la tensione della distanza conoscitiva e il coinvolgimento emotivo trovano una loro misura. Soprattutto rispettare i sentimenti e le ragioni dei bambini, saperli aspettare, permettere loro di esprimersi senza cedere al vizio di interrogarli con insistenza. Il rispetto che si nutre di conoscenza e di amore, perchè si può raggiungere solo ciò che prima si è sentito”.

BIBLIOGRAFIA

- Girelli L., Noi e i numeri, Il Mulino, Bologna, 2006

- Montessori M, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 1957

- Regni R., Infanzia e società in Maria Montessori, Armando Editore, Roma, 2007 (1997)

- Scuola dell’Infanzia, n.3, anno III, novembre 2002, Giunti Scuola Ed., Firenze

L'intervista al genio della porta accanto.

Finalmente sono riuscita a trovare il mio genio da intervistare!!!
Ho pensato di intervistare un amico di mio padre, Antonio Gallonelli, un ingegnere di 56 anni.

… E ora via con le domande …
1- Qual è stato il suo percorso di studi fino ad oggi?Tornasse indietro rifarebbe la stessa scelta?
Innanzitutto mi presento, mi chiamo Antonio Gallonelli, sono nato il 17 luglio 1951, quindi ho 56 anni, e vivo a Sarmato, un paesino in provincia di Piacenza, dove esercito la mia professione, quella di ingegnere.
Dopo aver conseguito la maturità classica a Piacenza, mi sono trasferito a Milano, iscrivendomi alla Facoltà di Ingegneria Elettronica presso il Politecnico. Terminati gli studi universitari all’età di 27 anni, sono ritornato nel mio paese nativo, Sarmato, dove ho aperto il mio studio di ingegnere e da più di 26 anni esercito con molta passione questa professione, come se fosse il primo giorno.
Tornassi indietro rifarei volentieri questa scelta, poiché sono rimasto molto contento circa la formazione che mi ha dato sia il Liceo Classico, dal punto di vista umanistico, sia anche l’ università, dal punto di vista scientifico.
2- Mi ha appena detto che Lei ha intrapreso studi classici. Come mai ha deciso di svolgere una professione scientifica, come quella dell’ingegnere, anziché una di tipo umanistico?
Perché noi siamo figli di contadini e quindi volendo migliorare un po’ la cultura della famiglia, o meglio del gruppo allargato, non occorreva avere solo una formazione settoriale, nel mio caso oltre ad una formazione di carattere umanistico, in quanto per completare ho voluto aggiungere anche quella scientifica. Ma ciò, non ti porta a diventare eccellente né in un campo né nell’altro, però a me è servito e io sono sicuro che i miei figli riusciranno a raggiungere l’eccellenza! Ecco spiegato il perché della scelta del Liceo Classico, per poi non proseguire gli studi in medicina o letteratura, ma verso le materie scientifiche, in modo da aumentare la cultura di base. Comunque, se io ora sono qui a svolgere la professione di ingegnere, lo devo anche alle possibilità economiche della mia famiglia, che hanno permesso di mantenermi agli studi, riuscendo a intraprendere la formazione sia classica che scientifica.
3- Secondo la maggior parte dei sondaggi svolti fra gli adolescenti, è emerso che gran parte di loro oggi non ha un buon rapporto con la matematica. A Lei, invece, le è sempre piaciuta sin da piccolo? Se sì, come nasce la sua passione per questa materia?
A me è sempre piaciuta la matematica, ma non solo questa materia, diciamo che la vita è una successione di situazioni problematiche e quindi tra la matematica, la filosofia, la letteratura non c’è differenza, cambiano solo gli strumenti per poter risolvere determinati problemi. La mia passione verso questa materia nasce in maniera naturale, la curiosità porta a crearsi dei problemi, che possono essere anche stupidi, come per esempio, nel caso in cui volessi andare in piazza, ma voglio perdere tempo, allora vado a cercare il percorso più lungo. Questo è un problema matematico che va risolto con la matematica, da qui nasce l’esigenza di conoscere la matematica per poter risolvere i problemi.
4- Lei come professione fa l’ingegnere per cui è sempre a contatto con i numeri. Che rapporto ha con la matematica nel quotidiano?
Ho un buon rapporto con la matematica nel quotidiano, ma c’è da dire che quella che io applico nel mio mestiere è solo una matematica ridotta, elementare rispetto a quella che ho studiato all’università, anche perché i problemi con cui mi ritrovo a “combattere” sono più lineari, in quanto richiedono mezzi più semplici per la risoluzione. Ma alla fine è diventato un automatismo, per cui è un rapporto di consuetudine.
5- Durante la sua carriera scolastica, ha mai incontrato eventuali difficoltà nello studiare questa materia?
Non ho trovato particolari difficoltà nello studiare questa materia, ho solo impiegato un po’ più di tempo per capire alcuni concetti, per poterli interiorizzare e svilupparli, però difficoltà no, me la sono sempre cavata da solo, con più o meno impiego di tempo.
6- Che consigli si sentirebbe di dare a chi intraprende un percorso di studi simile al suo, nell’approcciarsi con questo tipo di materie?
L’unico consiglio che mi sentirei di dare è di trattare questa materia come tutte le altre; in fondo, la mancanza di amore verso la matematica non è da imputare ai ragazzi, bensì agli insegnanti, che, secondo me, sono poco tarati, poiché “figli degli anni ’60-’70”, in cui la matematica veniva vista come una “pecora nera “, ma personalmente non lo è mai stata!
Una persona che capisce un sillogismo logico in filosofia, non può non capire una proprietà simmetrica in matematica, è assurdo, per cui se si va bene in letteratura non si può non andare bene in matematica, nel caso contrario vuol dire che le basi sono state date in maniera sbagliata.
7- A conclusione del suo ciclo di studi e successivamente con lo svolgimento della sua professione, mi saprebbe dire che idea ha maturato della matematica?
La matematica rientra in tutte le attività della persona, non penso che faccia parte della persona stessa, anche se viene usata inconsciamente da tutti, a partire dal conteggio dei soldi quando si fa la spesa, o quando si è in macchina che si calcola il tempo di frenata, perché bisogna rallentare o svoltare. Ogni giorno si è a contatto con la matematica, non ci si rende conto di ciò, perché manca la razionalizzazione di determinate azioni, ma la vita è tutta una matematica già da quando si nasce.

NASH: "La mia mente salvata dal computer"



John Nash ad un'intervista parla e dice:
"Russel Crowe? Mi assomiglia quando
interpreta la mia malattia"



Nash: «La mia mente salvata dal computer»
Lo studioso celebrato dal film «A beautiful mind»:
«Il calcolo è stata la medicina per sconfiggere le allucinazioni»
I suoi deliri più ricorrenti riguardavano le visioni di messaggi criptati, provenienti anche da extraterrestri, il credere di essere l'imperatore dell'Antartide o il piede sinistro di Dio, l'essere a capo di un governo universale. John F. Nash Jr., 80 anni nel 2008, è considerato anche tra i matematici più brillanti e originali del '900. L'uomo che ha rivoluzionato l'economia con i suoi studi di matematica applicata alla «Teoria dei giochi», vincendo il premio Nobel per l'economia nel 1994. A lui il regista americano Ron Howard ha dedicato «A Beautiful Mind», con Russell Crowe, vincitore di ben quattro Oscar nel 2002. Il film ripercorre la sua personalissima odissea attraverso il tunnel della schizofrenia da cui Nash è miracolosamente guarito dopo circa 30 anni di terapie quali elettrochoc, camicie di forza e iniezioni d'insulina, che lo hanno segnato nel fisico ma non nella mente. Visto che oggi continua ad insegnare a Princeton, una delle università più prestigiose d'America.


  • Che cosa l'ha aiutata a guarire? «La matematica, il calcolo e i computer sono stati la medicina che mi ha riportato ad un'idea più razionale e logica, aiutandomi a rifiutare il pensiero e l'orientamento allucinatori. La matematica è curativa e in America viene usata nella terapia occupazionale al posto dei farmaci. Con ottimi risultati».
  • Genio e malattia mentale sono imparentati? «Le turbe psichiche sono prevalenti soprattutto tra i poeti. Che tendono ad essere depressi».
  • Che cosa pensa del film sulla sua vita diretto da Ron Howard? «Quando vidi il film all'inizio m'irrigidii sulla sedia. Ma man mano che i minuti passavano ne ho apprezzato la componente di intrattenimento. Peccato che l'Oscar non abbia avuto alcun riflesso pecuniario su di noi perché eravamo già stati compensati».
  • Pensa che Russell Crowe si sia calato efficacemente nel suo personaggio? «Non l'ho sentito vicino a me, tranne che nella parte relativa alla malattia mentale. Ma anche lì il film si prende varie licenze poetiche, inventando episodi mai avvenuti, come le visioni o il compagno di stanza immaginario. Tuttavia nel complesso riesce a trasmettere il mio pensiero distorto e la mia malattia mentale».
  • Che cosa dirà al Festival della Matematica di Roma? «Sarò intervistato dal Prof. Odifreddi e quindi non so ancora di cosa parlerò. Ci sarà molta gente interessante che voglio incontrare».
  • È vero che la matematica è imparentata ad arti quali musica, pittura e poesia?«Matematica è una parola greca che all'inizio includeva i concetti di musica e astronomia. Solo nell'accezione contemporanea è diventata una materia a sè. Ma secondo me continua a essere intrinsecamente collegata a innumerevoli altre discipline»
  • A quali di queste discipline si sente più e meno attratto?«L'economia e il business m'interessano ben poco mentre adoro la musica, anche se ho un approccio selettivo. Trovo il rock e il pop sgradevoli e non amo compositori contemporanei quali Luciano Berio, al quale preferisco Vivaldi, Frescobaldi e Donizetti».
  • La matematica ha una gemella tra le arti? «L'architettura, che è matematica applicata. Ma anche la pittura. Penso a Vermeer, Leonardo, Michelangelo che hanno usato proporzioni, prospettiva e tridimensionalità come fossero geometria pura».
  • Cos'è per lei la matematica? «Non è mai stata memoria numerica. Non riesco a memorizzare alcuni numeri telefonici e non mi sforzo neppure per farlo. Conosco persone capaci di memorizzare una sequenza quasi infinita di numeri, però non sono per nulla portati alla matematica».
  • Come insegnerebbe a un bambino l'amore per la matematica? «In maniera empirica. Non è semplice perché devi "mostrare" e "applicare" le tue teorie; non basta enunciarle. Io credo di esserci riuscito con mio figlio che ha intrapreso la mia stessa carriera. Il mio amore per la matematica nacque nella scuola pubblica, dove abbiamo cominciato presto a lavorare con i numeri. Ma è stata la scoperta della geometria, alle elementari, ad aprirmi la mente. Sognavo di diventare un ingegnere come mio padre, poi la mia strada è andata in un'altra direzione».
  • Che cosa pensa della tesi, costata il posto all'ex rettore di Harvard, secondo cui l'inferiorità matematica è nei geni delle donne? «È stato uno sbaglio drammatico e insieme banale, perché tutti sanno cosa si può e non si può dire oggi nell'America del politicamente corretto. L'ironia della sorte è che lui è stato sostituito proprio da una donna»
  • La morale della favola? «Che non puoi sapere chi sarà il prossimo genio matematico della storia. Pensi all'indiano Srinivasa Aiyangar Ramanujan, ex bambino prodigio completamente autodidatta che alla fine dell'800 diventò uno dei più grandi geni matematici partendo da un libriccino. O alla grande Ipazia di Alessandria, che visse in Egitto tra il IV e il V secolo dopo Cristo. Le donne secondo me sono biologicamente più adatte alla matematica».
  • In che senso? «Lo studio e l'applicazione della matematica non richiedono alcuna forza fisica. Un uomo e una donna non possono sfidarsi sul campo da tennis ma possono farlo su uno studio di numeri, dove l'unica forza necessaria è mentale».

E ORA DIAMO LA PAROLA AL PREMIO NOBEL JOHN NASH

Io l'ho conosciuto grazie al film A BEAUTIFUL MIND, di Ron Howard, visto qualche anno fa e rispolverato da poco. Nash è il protagonista della storia, il particolare personaggio interpretato da Russel Crowe. Un grandissimo genio della matematica che ha
incontrato grosse difficoltà nel corso della sua vita, dovute soprattutto alla schizofrenia che lo ha gravemente afflitto e accompagnato da quando aveva una trentina d'anni.


Fin dall'infanzia (è nato nel 1928) Nash è diverso dagli altri bambini: solitario, poco giocoso. In casa è amato, ma il padre lo tratta un po' come un adulto, fornendogli molti libri di scienza e stimoli intellettuali. Non si è mai inserito nel gruppo, ne sempe stato un po' escluso per il suo carattere schivo. Inizialmente la sua genialità non è riconosciuta, anche a causa della sua poco "abilità sociale". All'inizio del film, Nash, parlando col suo amico(?) Charles gli riferisce che la sua maestra, da piccolo, gli aveva detto che lui aveva "due porzioni di cervello e solo mezza porzione di cuore"... frase che esprime bene il suo carattere. John è quindi sempre stato molto originale.


Aveva il bisogno di "guardare oltre", di vedere nelle cose di tutti i giorni lo spunto geniale che gli permettesse di essere importante.


Una scena interessante nel film si svolge al bar, John Nash è insieme ai suoi compagni di college.

John & co. sono al bar quando entra una ragazza bionda e affascinante con delle amiche... subito tutti pensano di mirare alla bionda, facendo riferimento ad una teoria economica molto nota...riscrivo sotto alcune delle frasi principali del dialogo, scusate se ci sono degli errori, ma l'ho trascritta io come riuscivo(C=compagni N=Nash).


C: Record the lesson of Adam Smith, the father of modern economic: "In competition individual ambition serves the common good".
Every man for himself gentlemen!

N: Adam Smith needs a revision

C: What are you talking about?

N: If we all go for the blond we block each other, not a single one of us is gonna get her. So then we all go for her friends, but they all will give us cold shoulders because no one likes to be second choice. But what if none goes for the blond? We don’t get in each other’s way and we don’t insult the Girls. This is the only way we win.
That’s the only way we all get laid.
Adam smiths said “best result comes from every one in the group doing the best for himself”…incomplete!
Because the best result will come from everyone in the group doing the best for himself and the group.
Governing dynamics… Adam Smith… was wrong!



Nel film Nash ha come una visione di ciò che dice... vede i suoi amici andare dalla ragazza bionda e bloccarsi l'un l'altro e sempre visivamente trova la soluzione. E' riuscito a stravolgere una importantissima legge economico-matematica a partire da una conversaziona al bar con degli amici. In questo sta il genio!

Non so se la "visione", questo farsi vedere delle soluzioni, sia solo un effetto del film o se Nash realmente ne avesse.. nel secondo caso si può fare un collegamento tra le sue visioni geniali e le sue visioni incontrollate dovute alla schizofrenia. Una malattia che l'ha portato a vedere codici segreti ovunque guardasse. Che l'ha portato a auto-esaltare il suo genio (la modestia non è una qualità che traspare dal film) credendosi chiamato dai servizi segreti a proteggere la nazione. Che l'ha portato addirittura a credersi l'imperatore dell'Antartide, il capo di un governo universale, il piede sinistro di Dio...


Questo suo egocentrismo, il fatto di essere conscio della sua genialità, non gli rendevano facili i rapporti umani, nè con gli uomini, nè con le donne, che dovevano accettarlo così com'era. Ma (almeno nel film) son proprio i rapporti umani che lo salvano dalla sua malattia... la costanza di sua moglie, che sceglie di stare con lui nonostante i numerosi problemi, e il sostegno di un vecchio compagno di università...sono le persone a salvare John Nash dal mondo di numeri incontrollati che gli si è creato intorno.


A BEAUTIFUL MIND è sicuramente un film interessante su una persona interessante. Non saprei dire quanto sia fedele alla reale vita di John Nash, ci sono sicuramente molti aspetti discordanti, ma il personaggio resta quello che è e la pellicola è ben riuscita (anche se un po' lenta a volte). Certo a Ron Howard non piace contenersi, da fiero americano mira sempre in grande, ma per lo meno ha il talento per farlo.

lunedì 23 novembre 2009

BRAIN TRAINING e IPLOZERO


Una delle ultime prove è intitolata Brain Training. In che cosa consisteva questa prova? Nell'elaborazione di 10 prove sul modello di quelle presentate da Camillo Bortolato nel già citato libro intitolato "Calcolare a mente" e nella somministrazione di esse a tre bambini, cronometrando il tempo impiegato da loro per dare la risposta corretta.
Per aiutarvi a capire meglio... Ecco un esempio di prova da noi elaborata:
PROVA NUMERO 8
41+26=.............
Chiaro no?
Devo dire che per noi è stato molto semplice individuare i quesiti, che sono stati calibrati su bambini frequentanti la seconda primaria perchè ad essi li avrei rivolti. Ciò che, invece, è risultato un pò più complesso è stato utilizzare il programma Iplozero per la rappresentazione dell'immagine con la rappresentazione delle quantità (vedi l'esempio sopra). Non è stato facile, individuare i comandi corretti. Ma con fatica e procedendo per tentativi ed errori ce l'abbiamo fatta ed io ho potuto sottoporre le prove alle mie tre "cavie".
Osservandole attentamente mentre una alla volta erano in azione, mi sono resa conta che il loro approccio alla risoluzione dei quesiti sottoposti non avveniva istintivamente attraverso l'immagine e dunque attraverso la percezione della quantità che l'immagine inviava, ma attraverso il conteggio di un quadratino per volta. Nonostante i miei suggerimenti ed i miei inviti a ragionare sull'insieme dei quadratini e non sul singolo, le tre bambine non hanno capito ciò che io chiedevo loro, ma hanno proseguito attraverso il conteggio. Questa situazione è stata, per me, la dimostrazione che occorre abituare i bambini al calcolo mentale fin da piccoli, perchè altrimenti perdono l'intuizione e non sviluppano la percezione a colpo d'occhio.

lunedì 9 novembre 2009

IL TRIANGOLO DI SIERPINSKI


Fra i primi frattali studiati, un posto d'onore occupa il cosiddetto triangolo di Sierpinski, dal nome del matematico che per primo ne ha studiato le proprietà (Waclaw Sierpinski, Polonia, 1882 - 1969). Si tratta di un frattale molto semplice da ottenere anche per via geometrica elementare. Da un punto di vista strettamente geometrico viene generato con una serie di rimozioni.

Esso è ottenuto a partire da un triangolo dentro al quale si fanno "germogliare" altri triangoli simili. E' chiaro che iterando il procedimento all'infinito si ottiene una figura molto complessa e ricca di "segreti", per esplorare i quali sarebbe necessaria una sorta di "lente d'ingrandimento". D'altra parte, è altrettanto chiaro che ad ogni ingrandimento si rivelerebbe agli occhi dell'osservatore una struttura "autosimile" a quella osservata nell'ingrandimento precedente.

Costruire il triangolo di Sierpinski è stato facile e divertente! Ecco i vari momenti della sua realizzazione…


1- Abbiamo utilizzato un foglio quadrettato dalle dimensioni di cm 100x70 e su di esso si è disegnato un triangolo equilatero


2- Si trova il punto centrale di ogni lato e si uniscono i punti in modo da ottenere quattro triangoli più piccoli. Si può adesso colorare il triangolo centrale.



3- Si individuano i punti centrali dei tre triangoli non colorati e si uniscono formando altri triangoli più piccoli. Si colora sempre il triangolo centrale.

4- Nel triangolo sono adesso presenti nove triangolini non colorati. Anche per questi si segue lo stesso procedimento, individuando i punti centrali di ogni triangolino e tracciando i lati.

5- Si può continuare a ripetere l’operazione......



La matematica dei nostri cugini scimpanzé


Ai, nata in Africa nell’ottobre del 1976.
Oggi vive al Kyoto University Primate Research Institute

Quali sono i limiti dell’intelligenza matematica degli animali? A quale livello possono arrivare le loro capacità? Per rispondere a queste domande vediamo come si comportano gli scimpanzé, i nostri parenti più prossimi e con il cervello più simile al nostro. Molti esperimenti hanno confermato che gli scimpanzé hanno una certa abilità nell’aritmetica elementare. Uno dei più celebri è Ai, addestrata da Nobuyuki Kawai e Tetsuro Matsuzawa del Kyoto University Primate Research Institute. Ai è in grado di riconoscere i numeri arabi, da 0 a 9, corrispondenti a un certo numero di oggetti ed è in grado di metter tali numeri in ordine crescente o decrescente.

Sheba lo ha superato, raggiungendo, dopo un lungo periodo di addestramento, risultati sorprendenti. E’ in grado infatti non soltanto di addizionare oggetti indicando la somma con simboli astratti, cioè numeri arabi, ma di operare direttamente con simboli numerici indicando la somma con il simbolo corrispondente. Sheba opera quindi con simboli astratti, senza dover passare attraverso insiemi di oggetti concreti. “Mai un animale – osserva Dehaene – si era tanto avvicinato alle capacità di calcolo simbolico dell’uomo”.


Kanzi, la scimmia Bonobo che vive presso il centro di ricerca sul linguaggio dell’Università della Georgia

Tra le scimmie, uno dei “geni” più recenti si chiama Kanzi. E’ una scimmia che appartiene alla specie dei bonobo, una specie che vive nell’Africa centrale, nei pressi delle sorgenti del Congo. Dalla nascita vive presso il centro di ricerca sul linguaggio dell’Università della Georgia, negli Stati Uniti. Mentre i ricercatori cercavano di insegnare il linguaggio umano alla madre, Matata, Kanzi, osservando e ascoltando, ha imparato più di cento termini. Ora riesce a comunicare con i ricercatori, “parla” con loro anche senza vederli, anche attraverso il telefono. Kanzi, inoltre, non riconosce soltanto parole dal significato “concreto”, ma anche concetti “astratti” come “bene” e “male”.

Osserva Devlin: “Occorre ricordare che ci vollero molti anni di addestramento lento e faticoso per raggiungere il tipo di prestazione ottenuto da Sheba e da varie creature – scimpanzé, scimmie, delfini e altri animali – in esperimenti di questo genere. Insegnare agli animali il legame esistente fra simboli astratti e insiemi di oggetti è un processo lungo e difficile. La loro prestazione non è mai perfetta ed è comunque limitata a insiemi molto piccoli”.

Ratti astuti e numerati


Immagine da www.ncbi.nlm.nih.gov

Anche i ratti hanno un senso del numero, come dimostrarono alcuni esperimenti condotti negli anni cinquanta e sessanta. All’inizio gli esperimenti non erano molto convincenti. Uno, descritto da Keith Devlin, è particolarmente curioso e pur essendo un fallimento sulla verifica delle abilità numeriche dei ratti, dimostra però la loro astuzia. I ratti venivano posti in un corridoio sul quale si aprivano numerose porticine, tutte chiuse tranne una. In una fila di dieci porte, ad esempio, solo la numero 7 si poteva aprire e dietro era nascosta una certa quantità di cibo. I ricercatori volevano vedere se, dopo un certo numero di tentativi, i ratti avrebbero imparato a ignorare le prime sei porte, puntando direttamente alla 7. L’esperimento all’apparenza fu un grande successo. Dopo un certo numero di prove, gli animali si precipitarono a gran velocità fino alla porta 7 e poi l’aprivano per arrivare al cibo. Un’analisi più accurata condotta sulle videoregistrazioni degli esperimenti esaminate al rallentatore, rivelò che i ratti, mentre sfrecciavano lungo il corridoio, assestavano un leggero colpo a ogni porta con la zampetta posteriore, finché non trovavano quella che cedeva. A quel punto si bloccavano dov’erano e si precipitavano sul cibo. “L’insegnamento che i ricercatori trassero dalla prova – commenta Devlin – fu di stare molto attenti nell’interpretare le proprie osservazioni: non sempre le cose sono quelle che sembrano”. Successivi esperimenti, condotti con maggior attenzione da Francis Mechner e da altri studiosi di psicologia animale, hanno dimostrato che i ratti hanno un preciso “senso del numero”. I ratti vennero messi in una gabbia chiusa dove si trovavano due tasti A e B. Per ottenere il premio, una piccola razione di cibo, i ratti dovevano premere il tasto A un certo numero di volte e solo in seguito potevano passare al tasto B e ottenere la ricompensa. Se sbagliavano la sequenza prevista, invece del cibo c’era una penitenza, ricevevano ad esempio una leggera scossa elettrica oppure si spegneva la luce. Dapprima i ratti si resero conto che dovevano premere più volte il tasto A e una sola volta il tasto B. In seguito riuscirono a precisare meglio il “più volte” e dopo un certo addestramento riuscirono a premere il tasto A un numero di volte corrispondente al numero “n” scelto dall’addestratore. Non sempre però il numero “n” era preciso ma approssimato. Se, ad esempio, veniva richiesto di premere il tasto A 4 volte, la loro risposta poteva variare da 3 a 7. L’esperimento venne ulteriormente precisato introducendo un altoparlante che emetteva una sequenza di suoni. In questo modo si arrivò alla conferma della capacità dei ratti di saper riconoscere il numero approssimativo di oggetti, di suoni, di bocconi di cibo o di altre azioni. Questa capacità di generalizzare da modalità di percezione o di azione differenti è un elemento importante – osserva Dehaene – di quello che chiamiamo il “concetto di numero”. Negli animali gli esperimenti di generalizzazione di questo concetto di numero, presentato in modi diversi, sono ancora scarsi.