sabato 28 novembre 2009

IL GRANDE MATEMATICO:Intervista immaginaria a Maria Montessori

P - 03 Il grande matematico - Didamat Univaq

È una fredda giornata d'inverno. Il giardino in cui passeggio nell’attesa di incontrare la donna che, con il suo metodo, ha rivoluzionato il sistema didattico scolastico e la pedagogia contemporanea in Italia e nel mondo, è ricco di foglie dai colori più svariati rendendo l’evento ancora più eccitante e carico di magia e intensità. Facendo qualche passo più avanti la vedo…è seduta su una sedia da giardino intenta a osservare un gruppetto di bambini presi dal loro lavoro. Mi vede…con un sorriso mi fa cenno di avvicinarmi. È un’anziana signora vestita un po’ retrò ma nel suo sguardo è vivo il fuoco, la potenza, la forza di quel genio che è stato e sempre sarà Maria Montessori. Sono vicino a lei, l’emozione è tanta e, dopo i primi convenevoli, la nostra chiacchierata ha inizio.

Chiara: “Signora Montessori, mi è stato chiesto di intervistare un grande genio matematico e io non ho potuto che pensare a lei”.

Maria Montessori: “Ma io non sono un matematico e tanto meno un genio”. Sorride.

C: “Ha ragione, ovviamente riguardo al matematico, ma lei è stata una delle prime donne ad avere una formazione di base scientifica e, ancor di più, ha sviluppato un metodo per la comprensione della matematica degno di un matematico e di un vero genio”.

MM: “Lei mi lusinga, ho fatto solo quello che ho ritenuto più naturale”.

C: “Prima di parlare del suo metodo, vorrei soffermarmi sul rapporto con la matematica che aveva da bambina”.

MM: “Da sempre ho manifestato un grande interesse per la matematica e proprio la passione per questa disciplina mi indusse a scegliere la scuola tecnica e il liceo tecnico riuscendo a conseguire una licenza nella sezione fisico-matematica”.

C: “A quei tempi, parliamo dell’ultimo decennio dell’ottocento, è stata facile per una donna entrare e frequentare una scuola del genere?”.

MM: “Con tutta onestà devo ammettere di no. Infatti, dovetti superare le reticenze dei miei genitori, in particolare di mio padre, e di tutta la società che non vedeva di buon occhio una donna studiare materie scientifiche”.

C: “Ha appena citato i suoi genitori e la società del suo tempo; può parlarci un po’ più approfonditamente dell’influenza che hanno avuto su di lei la sua famiglia e il contesto storico?”.

MM: “Sono nata in un particolare periodo storico, nel 1870, le idee del positivismo cominciavano ad affermarsi, il ruolo della donna nella società era relegato a quello di angelo del focolare ma, per mia fortuna, la mia formazione intellettuale avvenne in una famiglia che ebbe in ciò molto rilievo”.

C: “In che senso?”.

MM: “Sono cresciuta in una famiglia che mi educò secondo regole severe sulla disciplina e l’impegno. Mio padre, studioso di matematica, mi trasmise la passione per gli studi scientifici e mia madre, donna di convinzione liberale e cattolica insieme a una grande fede nella scienza moderna, nonostante fosse un po’ preoccupata, non mi ostacolò mai nelle mie scelte. Infatti fui una delle prime donne a frequentare, dopo la licenza elementare, la scuola tecnica superiore presso il Regio Istituto Tecnico Leona e a conseguire la licenza fisico matematica e, in seguito, la laurea in scienze matematiche e naturali nell’Università di Roma nel 1892, specializzandomi poi in psichiatria”.

C: “Il suo cammino è apparso sconcertante: partita dalla formazione scientifica, conseguì la laurea in psichiatria, esercitò la libera docenza nella facoltà di antropologia nel ramo di scienze fisiche e matematiche, partecipò al movimento di liberazione femminile, conseguì una seconda laurea in filosofia. Nonostante tutto ciò, divenne prioritaria in lei l’attenzione alla dimensione educativa . Fu forse questa una scelta di ripiego che le permise di emergere in un settore più congeniale al suo essere donna rispetto alla psichiatria?”.

MM: “Indubbiamente ho incontrato parecchie difficoltà per farmi riconoscere il mio operato scientifico, pedagogico e culturale ma credo che, malgrado le difficoltà, tutte le mie esperienze dovessero portarmi alla formulazione del mio credo pedagogico, alla scoperta del bambino.

La strada che ho percorso mi ha permesso di approfondire la tematica dell’adulto, sia esso donna o uomo, permettendomi di capire che dietro quell’ apparente radice ne esisteva una originale, la vera radice originale che è data dalla nascita e dall’infanzia per cui dietro la donna c’è il bambino…il bambino padre dell’uomo. Sono state proprio le mie basi scientifiche che mi hanno poi permesso di dare riconoscimento e validità scientifica alle mie teorie riguardo la scoperta del bambino”.

C: “Con la casa di San Lorenzo, la prima “casa dei bambini”, dopo anni febbrili di studio, il suo esperimento si materializza e viene consacrato alla storia. Con essa il “metodo Montessori”.

MM: “Sì, il mio metodo si sarebbe delineato da lì a poco. Era il 6 gennaio 1906, quel giorno, con grande emozione e mettendomi una mano sul cuore per animarlo nella sua fede, pensando con grande rispetto a quei bambini, dissi fra me: “Chi siete?”. In quella domanda che mi feci non c’era retorica né nostalgia ma la volontà e il bisogno di capire, nel rispetto e nell’amore, l’infanzia…proprio da questa domanda si è strutturato il mio metodo che nacque soprattutto come strumento d’osservazione o, meglio, divenne la scoperta del bambino, un aiuto affinché la personalità umana potesse acquistare la propria indipendenza”.

C: “Il suo lavoro ha posto al centro dell’educazione il bambino, con il riconoscimento scientifico della sua natura e la proclamazione sociale dei suoi diritti, falsificando quei tanti pregiudizi che abitavano la mente degli adulti e che per secoli avevano precluso la scoperta dell’infanzia”.

M.M. “Per tornare al discorso di prima, proprio il mio cammino che a molti è sembrato sconcertante, in quanto sarebbe parso più lineare se avessi avuto una formazione umanistica, mi ha permesso di arrivare dove sono arrivata. Il mio lavoro è partito da basi scientifiche e solo così poteva delinearsi . Il primo problema che mi si presentò fu quello di falsificare la teoria secondo la quale i bambini fino a tre anni vagano con la loro mente, da cosa in cosa, a causa della loro attenzione labile e vagabonda. Bene, proprio fortuitamente, mi imbattei in una bambina di tre anni che assorta per lungo tempo sopra un incastro solido, ripeteva l’esercizio per ore. Nonostante i miei tentativi, nulla riusciva a distoglierla. Mi sembrò una manifestazione straordinaria. Cominciai a formulare ipotesi che nel bambino esistessero risorse nascoste, energie che si rivelano quando la mente infantile incontra un’esperienza che è capace di attrarre come una calamita. Le mie ricerche confermarono ciò, quindi, una volta rimossi gli ostacoli e creato un ambiente capace di rispondere ai bisogni psichici, il bambino si mostrava attivo e dotato di grandi risorse cognitive apparendo come un inaspettato essere di ragione. Il materiale di sviluppo fu creato proprio per permettere al bambino quest’autorivelazione”.

C: “Un materiale magico, quindi?”.

MM: “Questo è l’errore che per anni molti hanno commesso e, a mio ben vedere, si presenta ancora oggi… la polarizzazione dell’attenzione da parte del bambino avviene attraverso il materiale ma, necessario affinché ciò avvenga, è la preparazione dell’ambiente, gli atteggiamenti dell’insegnante - aiutami a fare da solo - l’ordine, la misura, l’eliminazione del superfluo e, poi, la libertà di scelta da parte del bambino, la sua indipendenza e autonomia”.

C: “All’inizio della nostra intervista abbiamo parlato di lei come genio matematico; la nostra chiacchierata lo sta confermando, conviene con me?”.

MM: “Certamente sono una donna di scienza ma c’è da dire che tutto lo spirito umano, a mio avviso, è matematico: tende verso l’esattezza, la misura , il raffronto. Parlare quindi, nel mio caso, di genio matematico, mi sembra inopportuno...quasi tutti, attraverso un percorso formativo adeguato ai propri tempi e ai propri bisogni individuali, potrebbero sviluppare tali capacità”.

C: “Il suo insegnamento ha portato a risultati incredibili eppure tuttora, nel 2009, la scuola continua a fallire; nella matematica le statistiche parlano chiaro: la preparazione scientifica media degli italiani non è tra i primi posti nelle classifiche europee. Cos’è che non funziona?”.

MM: “Lo scontro è, ieri come oggi, tra la mente non scolarizzata del bambino e quella dell’alunno alle prese della scuola. Mentre il bambino più piccolo è impegnato nella natura del conoscere, il bambino della scuola risulta essere intrappolato nella logica del compromesso delle risposte corrette. Quando va bene, e non sempre succede, egli apprende una serie di conoscenze che poi non riesce ad utilizzare in contesti nuovi o più ampi. La scuola, anche quando sembra funzionare con successo, manca i propri obiettivi più importanti che sono la comprensione adeguata dei contenuti e dei concetti. Nella scuola, gli insegnanti solitamente richiedono o accettano prestazioni meccaniche, ritualistiche o convenzionali proprio quelle che gli studenti offrono quando rispondono nel sistema simbolico desiderato, buttando, fuori dai fatti, i particolari complessi, i concetti o i problemi che sono stati loro insegnati. L’approssimazione, la semi comprensione oltre alla noia intellettuale, proliferano; poca è la competenza come capacità di trasferire in contesti nuovi gli strumenti concettuali che si sono acquisiti. Così, quando gli studenti escono dalla scuola, di fronte a banali problemi di fisica o matematica, nei quali non hanno saputo riconoscere le tematiche studiate a scuola, ricadono in modi di ragionare ingenui, dove dominano le spiegazioni elaborate intuitivamente dalla mente del bambino piccolo, quei copioni iniziali e quegli stereotipi imparati da bambini. Questo accade perchè gli insegnamenti scolastici inefficaci vengono sopraffatti dagli apprendimenti della mente non secolarizzata”.

C: “Quindi, mi faccia capire meglio, sostiene la necessità di anticipare gli apprendimenti prima dell’ingresso a scuola?”.

MM: “Non si tratta di anticipare la scuola, semplicemente la necessità di trovare il modo di offrire al bambino un sapere che possa generare altro sapere e di fornirlo in un linguaggio adatto che significa un linguaggio fatto di esperienze più che di parole. Inoltre è importante tenere a mente che lo sviluppo dell’individuo segue delle tappe, cioè dei centri successivi di sensibilità, che si estinguono per essere sostituiti da altri. Queste tappe, che io chiamo periodi sensitivi, sono momenti di sviluppo in cui l’interesse è prevalentemente rivolto verso qualcosa che è necessario per lo sviluppo della personalità. È evidente, dunque, che la stessa cosa, presentata in momenti diversi, può suscitare reazioni molto diverse e che l’insegnamento della matematica deve rispettare questi momenti strettamente individuali”.

C: “Questa esperienza, dunque, secondo lei, può avvenire soltanto attraverso l’uso di sussidi didattici; ma quali e come devono essere tali materiali?”.

MM: “L’intelligenza dei bambini è strettamente collegata agli oggetti e alle azioni che si compiono su di essi. Tutti i materiali che abbiano la caratteristica di oggetti, che rappresentano concetti matematici, rendono possibili acquisizioni che, presentate in modo astratto, non sarebbero alla portata dei bambini. È necessario predisporre materiali strutturati in successione ordinata che accompagnino il bambino nel suo sviluppo, fornendogli man mano il modo di fare esperienza di tipo matematico. Non essendoci oggetti matematici nell’ambiente come gli alberi, i fiori, gli animali, abbiamo dovuto predisporre materiali sensoriali che, difatti, chiamiamo astrazioni materializzate o materiale matematico basico”.

C: “Prima nella casa dei bambini, poi nella scuola primaria, i bambini lavorano con il materiale di sviluppo specifico per la mente matematica, attraverso il quale il processo di apprendimento viene centrato sulle loro attività. Quali sono le sue caratteristiche principali?”.

MM: “Attrarre l’attenzione, permettere di svolgere attività di tipo matematico utilizzando il movimento e la manipolazione di oggetti concreti, guidare l’attività in una direzione determinata, affrontando una difficoltà alla volta, consentire attraverso operazioni concrete processi di interiorizzazione, organizzazione, astrazione, permettere l’autonomo controllo dell’errore, rispettare i ritmi individuali di apprendimento, stimolare la capacità di cogliere quello che non varia in situazioni percettive favorendo i processi di organizzazione del pensiero e di astrazione. Durante il lavoro, svolto in modo fortemente individualizzato, l’insegnante si limita a mostrare come utilizza il materiale. Tutto il resto viene fatto dai bambini, ognuno impegnando i tempi che gli sono necessari. L’errore viene evidenziato dal materiale stesso, in modo che sia possibile accorgersene e autocorreggersi e che non sia necessario il controllo dell’insegnante. In questo modo i bambini, gradualmente, acquistano fiducia nelle loro capacità e possibilità e procedono nel loro cammino in modo autonomo, ognuno indipendentemente dai tempi degli altri. Questo rende possibile non avere ansie e timori nei confronti della matematica e superare il problema sia dei bambini lenti sia dei bambini troppo veloci, attivare cioè attività di recupero e di valorizzazione delle eccellenze per portare ognuno al raggiungimento del pieno successo formativo”.

C: “Una mente carica di astrazioni materializzate?”.

MM: “Sì, una mente carica di teorie implicite e di capacità di discriminare che ritorneranno fuori sotto forma di esplosioni meravigliose quando il bambino sarà più grande. In questo modo, la conoscenza prodotta non sarà più ingenua e più lontana dalle scoperte scientifiche ma avrà fatto proprie le astrazioni materializzate, le teorie fatte oggetti contenuti nel materiale. Il divario tra conoscenze ingenue ma fortemente incarnate dalla mente infantili e quelle scientifiche più avanzate tenderà, così, a ridursi”.

C: “Siamo nel 2010, la società è molto cambiata, l’avvento di internet è oramai la tecnologia padrona del nostro agire quotidiano. Alla luce di questi cambiamenti, come ritiene che dovrebbe innovarsi la didattica pedagogica per essere realmente efficace?”.

MM: “La risposta è semplice: aggiornandosi adeguatamente. Occorre un grande sforzo di alfabetizzazione che prevede un profondo ridisegno delle strategie di insegnamento che però non può prescindere da considerazioni di tipo umano, ciò a ricordare quello che ripeto da anni: il bambino non è un adulto in miniatura. Rispettando la natura del bambino e preparandovi meglio voi stessi, potrete ridisegnare un percorso didattico adeguato alla società che verrà. Ovviamente la strada sarà dura e potrebbe esserci il rischio di trasformare strumenti in surrogati di promotori di educazione…cosa che accadde un po’ con i miei materiali.

Bisognerà tener presente l’intreccio tra tecnologia e didattica, tecnologia e processi di apprendimento. Tener conto delle tecnologie significa interrogarsi su come utilizzarle”.

C: “Possiamo cogliere nelle sue parole un certo parallelismo tra i suoi materiali e la nuova tecnologia?”.

MM: “In un certo senso possono essere per alcuni versi i figli dei miei materiali. Il computer permette la possibilità di un certo individualismo, di gestione più libera del proprio tempo, può creare un rapporto diretto con le forme di informazione dando quindi la possibilità di accostarsi in modo autonomo alle conoscenze, proprio come con il mio materiale, proprio nel momento in cui la propria anima lo richiede, in maniera autonoma e individuale rispondendo ai personali centri d’interesse. Per arrivare a ciò, però, c’è bisogno di una grande preparazione senza lasciare niente al caso. La mia perplessità è che, in questo periodo storico, si sia persa l’abitudine a organizzare in modo autonomo il proprio tempo. Credo che lo sforzo educativo richiesto alla scuola del futuro sia una sorta di rieducazione a decidere”.

C: “La necessità dell’operativizzazione della conoscenza non deve ovviamente allontanare dall’ approccio astratto-simbolico. Quali soluzioni può consigliarci per trovare il giusto equilibrio nel sistema scolastico italiano?”.

MM: “L’insegnante, ora più che mai, resta il punto chiave di tutto il discorso. E’ importante per tutte le discipline, ma soprattutto per la matematica, che sia insegnata bene e fatta amare. Se, negli anni della formazione intellettuale, il bambino comincia ad avere paura della matematica avrà sempre un atteggiamento conflittuale col mondo della scienza. L’insegnamento della matematica deve avvenire, ieri come oggi, per problemi. L’insegnante deve suscitare l’interesse all’apprendimento anche attraverso la storia. Il Rinascimento non è stato solo la grande pittura, la prospettiva, i viaggi di Colombo, ma è stato anche una prodigiosa matematica da Fibonacci a Scipione del Ferro. Senza di loro non ci sarebbe stata una nuova scienza”.

C: “Vorrei diventare una futura maestra della scuola dell'infanzia. Cosa sente di suggerirmi come consiglio prezioso?”

MM: “Di attenersi sempre alla coniugazione di tre verbi: conoscere, amare, rispettare. La conoscenza è la distanza, è lo sforzo per l’oggettività, è la neutralità affettiva, è lo scetticismo critico che tiene aperta la mente; l’amore è il coinvolgimento, la passione motivante. Rispettare vuol dire aspettare con fiducia. Nel rispetto, la tensione della distanza conoscitiva e il coinvolgimento emotivo trovano una loro misura. Soprattutto rispettare i sentimenti e le ragioni dei bambini, saperli aspettare, permettere loro di esprimersi senza cedere al vizio di interrogarli con insistenza. Il rispetto che si nutre di conoscenza e di amore, perchè si può raggiungere solo ciò che prima si è sentito”.

BIBLIOGRAFIA

- Girelli L., Noi e i numeri, Il Mulino, Bologna, 2006

- Montessori M, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 1957

- Regni R., Infanzia e società in Maria Montessori, Armando Editore, Roma, 2007 (1997)

- Scuola dell’Infanzia, n.3, anno III, novembre 2002, Giunti Scuola Ed., Firenze

Nessun commento:

Posta un commento