lunedì 12 ottobre 2009

CHI SI E' POSTO IL PROBLEMA DELLA VERA NATURA DEI NUMERI?!?


Il problema della vera natura dei numeri fu posto da Platone secondo quanto ci riporta Aristotele (”Metafisica“) e secondo quanto si può desumere da varie opere di Platone stesso. Si possono notare anzi varie fasi del pensiero platonico: una prima nella quale il numero è considerato come ente a sé, non associato a cose sensibili (ché, anzi, in questo caso «occorre non accettare di ragionarne»); una seconda fase nella quale i numeri costituiscono una sorta di dottrina cosmologica, le idee essendo numeri generate da un principio, l'unità. Euclide scrive: « Unità è ciò per cui ogni singola cosa è detta uno. Numero è la pluralità, composta di unità» (”Elementi”, libri VII, VIII, IX). Sulla concezione ma soprattutto sull'utilizzazione (anche teorica) del numero, ricordiamo brevemente le posizioni autorevoli di Archimede (“Arenario”), Nicomaco di Gerasa (“Introduzione aritmetica”), Teone da Smirne (“Esposizione delle cose utili per la lettura di Platone”), Giamblico di Calcide (“Collezione delle dottrine pitagoriche”), Diofanto. Per arrivare al fondamentale “Liber Abbaci” (1202) di Leonardo Fibonacci il Pisano, che diffuse l'aritmetica in Europa con le novità apprese in oriente, mancano ancora i contributi di Agostino, il quale vede nell'ordine numerico un ideale di perfezione e di bellezza di origine divina, e di Boezio, il quale si fa portavoce di una tradizione euclidea. Niccolò Fontana detto il Tartaglia da Brescia (“General trattato di numeri e misure”, Venezia 1556, 1-2) distingue i numeri 'naturali' (enti congiunti con 'materie sensibilmente misurate') dai numeri 'mathematici' (enti 'astratti da ogni materia sensibile'). Il numero come idea astratta ma derivata da atti concreti operati nel nostro pensiero ci è presentato da Descartes; quest'idea, estremamente diffusa tutt'oggi, dominò incontrastata tra i filosofi della matematica. Il numero come idea astratta scaturita dalla mente umana fu anche presentato e sostenuto dal grande matematico tedesco Gauss (ad esempio in una sua lettera del 1829). Anzi da quest'ordine di idee si è soliti far scaturire l'origine di quel processo che dominò la scena del XIX secolo e che va sotto il nome di aritmetizzazione delle matematiche (Weierstrass e Kronecker). Secondo tale tendenza si doveva ricondurre tutta la matematica a una fondazione unica, basata sulla teoria dei numeri naturali, la quale appunto, essendo scaturita con naturalezza dalla nostra mente come atto intuitivo, ben si presta a fondamento. Le sue leggi sono null'altro che atti del pensiero, ma così legate al mondo concreto da non presentare di certo la possibilità di circoli viziosi o la creazione di contraddizioni. Più o meno su questa linea filosofica si muovono vari pensatori, a parte diversi tentativi tra i quali ricordiamo quello di W. Hamilton di fondare il numero sull'intuizione a priori del tempo, di marca kantiana; o quello di E.L. Helmholtz di attribuire al numero un carattere esclusivamente empirico. Frege e Dedekind difendono il principio generale secondo il quale lo studio dei numeri è pertinente alla logica; Heine tenta invece una fusione tra le idee di numero e di numerale, per cui i numeri sono solo segni; Enriques mette in evidenza l'impossibilità di muoversi altrimenti, nel campo dei numeri, se non ricorrendo a un sistema assiomatico (egli fa esplicito riferimento al sistema di G. Peano, che vedremo). Tra i tentativi citati, maggior fortuna critica spetta forse a una definizione di numero basata essenzialmente sulla teoria degli insiemi, detta solitamente definizione per astrazione alla maniera di Frege e Russell; e poi a una definizione di numero basata su un sistema di assiomi detta solitamente sistema di Peano. I due sistemi sono esaminati rispettivamente in Definizione per astrazione di Frege e Russel e in Il sistema assiomatico di Peano .

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